Oggi, 25 aprile 1498 essendo stato invitato a pranzo da Sua Santità Alessandro VI e temendo che, non contento di avermi fatta pagare il cappello cardinalizio non voglia ereditare da me e mi riservi la sorte toccata ai cardinali Caprara e Bentivoglio, morti avvelenati, dichiaro a mio nipote Guido Spada, mio erede universale, che ho nascosto in un luogo che egli conosce, per averlo visitato con me, cioè nelle grotte della piccola isola di Montecristo, tutto ciò che possiedo in lingotti, monete d’oro, pietre preziose, diamanti, gioielli; che soltanto io conosco l’esistenza di tale tesoro, il quale può ammontare press’a poco a due milioni di scudi romani, che egli troverà levando il ventesimo masso a partire dalla piccola cala orientale in linea retta. Nelle grotte sono state praticate due aperture: il tesoro si trova nell’angolo più lontano della seconda. Tale tesoro io glielo lascio e cedo in tutto la proprietà, come a mio unico erede.

(da Il Conte di Montecristo, Alexander Dumas)

Pensando all’Isola di Montecristo la mente inevitabilmente si va a posare, foss’anche per un attimo, al famigerato Conte narrato da Dumas.

Sebbene quest’ultimo mai vi avesse messo piede, ne rimase affascinato durante una battuta di caccia all’isola di Pianosa da cui ne scorse in lontananza le granitiche fattezze, avvolte tra le nubi. Deciso a visitarla venne accontentato in parte, e la sua visita si limitò alla circumnavigazione dell’isola di cui poté strabiliarsi ed incantarsi per le scogliere, calette segrete e suggestivi anfratti. 

Il tesoro, infatti, di cui Montecristo è foriero, non è in monete d’oro piuttosto nella magnifica espressione della natura, rimasta quasi incontaminata nei secoli. Un tempo chiamata Oglasa, poi Montegiove, si ritiene che la denominazione attuale risalga al Medioevo dove il nome muta in Monte Christi, ossia «Monte di Cristo», verosimilmente a causa del forte contesto ecclesiale e monastico che caratterizzò l’isola a partire dal V secolo, ed in particolare del Monastero di San Mamiliano.

L’isola, amministrativamente facente capo a Portoferraio, copre un’area di circa 10,4 km quadrati: 1.039 ettari  di natura selvaggia e incontaminata, di biodiversità da tutelare e proteggere, una riserva biogenetica dichiarata nel 1971 con decreto ministeriale riserva naturale statale integrale  e, riconosciuta come sito di interesse comunitario,  le è anche stato attribuito dal Consiglio d’Europa il Diploma europeo delle aree protette nel 1988. Proprio per questo, l’isola di Montecristo è pressoché inaccessibile, o quantomeno, contingentata. E’ stato stabilito  un tetto di visitatori massimo, e dal 2019 sono solo 2000 le persone che vi possono accedere in un anno.

Il solo approdo consentito è nella parte nord ovest, presso la spiaggia Cala Maestra. Qui troviamo anche l’unica struttura residenziale di tutta l’isola, la  Villa reale Cala Maestra chiamata Watson-Taylor dal nome di colui che ne fu proprietario dal 1852 al 1869. Il barone scozzese George Watson Taylor, acquistò l’isola per 50.000 Lire, realizzò un piccolo molo a Cala Maestra, vi edificò il vasto caseggiato successivamente chiamato Villa Reale (poiché futura residenza di caccia del re Vittorio Emanuele III di Savoia), trasformando la zona in una area verde con giardini terrazzati e specie arboree esotiche, tra cui l’ailanto (specie vegetale che sino ad oggi ha mutato l’assetto vegetazionale dell’isola). Oggi la struttura è divenuta abitazione delle guardie forestali e sede di un museo naturalistico.  Per trovare altri segni antropici dobbiamo addentrarci nell’interno percorrendo impervi sentieri, per giungere alle rovine del monastero di San Mamiliano. Con la fondazione di questo monastero, edificato nel V secolo d. C. da monaci eremiti, comincia la storia documentata dell’Isola. Secondo la leggenda proprio qui sarebbe custodito un famigerato tesoro, frutto di donazioni ecclesiastiche. Allo stesso periodo risale una cappella absidata costruita all’interno della Grotta di San Mamiliano, dove il Santo vi trovò rifugio nel V secolo d. C e vi morì il 15 settembre del 460. Secondo la leggenda, al momento della sua morte un enorme colonna di fumo si innalzò dall’isola. E pare che gli elbani, volendone recuperare il corpo, si recarono sull’isola ma caddero in un sonno irreale, nel frattempo arrivarono dei gigliesi e riuscirono a portare via le spoglie del santo; intanto gli elbani, svegliatisi, raggiunsero i gigliesi in un’insenatura sull’isola del Giglio e lì nacque una violenta disputa per trattenere il corpo di Mamiliano. Le due braccia vennero smembrate dal corpo, finendo nelle mani sia dei gigliesi sia degli elbani. 

Luogo di interesse e fortemente ambito dai saraceni il monastero subì due devastanti incursioni nel 727 e nel 1323. Finché divenne sede abitativa privilegiata di pirati e corsari per i successivi 2 secoli. Al largo di Cala Maestra (profondità di 35 metri) si trova il relitto di un veliero militare del XVI secolo. L’incursione di Dragut nel 1553 (vedi isola d’Elba) decretò la fine del monastero. Da allora per circa due secoli l’isola fu meta ambita da privati provenienti da varie parti d’Europa, finché non venne acquistata da Watson Taylor, e di nuovo dal Governo italiano nel 1869. Vent’anni dopo il Demanio di Livorno concesse in affitto l’isola al marchese fiorentino Carlo Ginori Lisci, che trasformò Montecristo in una riserva di caccia personale. L’isola è stata, nel 1896, la meta del viaggio di nozze fra l’allora principe ereditario d’Italia Vittorio Emanuele e Elena del Montenegro, per poi concederne ogni diritto nel 1899 a Vittorio Emanuele III, tramite il pagamento di un affitto pari a 2 000 lire, divenendo così una riserva di caccia reale esclusiva per la famiglia Savoia. Al momento del passaggio di proprietà, Carlo Ginori Lisci disse al re: «Se io sono, come mi avete chiamato, il vero conte di Montecristo, voi ne siete il sovrano; il mio è un possesso provvisorio, il vostro un dominio sovrano. Cedo i miei diritti» (Carlo Paladini, L’Isola del Re).

Il ritrovamento di  frammenti di vasellame, schegge di selce risalenti al neolitico antico e altri reperti ci dimostrano come l’isola fosse frequentata già in epoca preistorica. Tracce di frequentazione dell’isola in età romana e tardoromana sono presenti nella Cala di Santa Maria e a Cala Maestra , ove si ritiene ci fosse una domus maritima di età romana, avvalorata dal ritrovamento di un frammento di pavimentazione in opus signinum rinvenuta in loco. Anche i fondali marini ospitano i resti di un passaggio risalente ad epoche preromane e romane. Nelle acque tra Punta del Diavolo e Cala del Diavolo, a circa 60 mt di profondità, giace il relitto di una nave oneraria risalente al III secolo a.C, ed un altro del II secolo d.C. si trova a 50 mt sotto il livello del mare, più o meno nella medesima zona. 

In effetti, la reale ricchezza di quest’isola risiede nella natura che regna incontrastata. Un plutone magmatico intrusivo, originatosi tra i sette e i cinque milioni di anni fa, le conferisce il peculiare aspetto granitico, ed appare una sorta di enorme diamante incastonato nel mare (negli antichi portolani, Montecristo viene paragonata ad «una montagna alta come un diamante apuntato»).  

La copertura vegetale è rappresentata da garighe costiere e da una bassa macchia mediterranea formata prevalentemente da eriche, rosmarini e cisti, con poche piante di leccio raggruppate presso la cima più alta, Monte Fortezza che misura 645 metri. Le specie censite sono circa 400, tra le quali ricordiamo per i profumi che diffondono, insieme ai rosmarini, l’odoroso elicriso e l’aromatico maro. Sulle rovine dell’antico monastero crescono anche i cespuglietti di Linaria capraria, endemismo dell’Arcipelago. In seguito ad inserimenti ottocenteschi è purtroppo presente l’ailanto, specie aliena ed invasiva che il Parco sta cercando di contenere.  

Per quanto riguarda la fauna, la presenza più vistosa è la capra di Montecristo.

L’esistenza della capra selvatica a Montecristo è testimoniata almeno dalla seconda metà del XVI secolo e dal secolo successivo, e oggi rappresentata da oltre 250 esemplari viventi in completa selvaticità, non è da considerare un elemento naturale della fauna isolana ed è causa di notevole impatto sulla vegetazione autoctona. L’antichità del popolamento è peraltro tale da conferire allo stock presente un notevole valore storico-culturale. La tutela delle locali capre rappresentò inoltre una forte motivazione all’epoca dell’istituzione della riserva naturale, rivestendo un ruolo emblematico a livello delle politiche di conservazione dell’isola.

Tra gli altri vertebrati si segnala il raro discoglosso e per i rettili, oltre al biacco, si ricordano la vipera e il piccolo tarantolino

Importante è la presenza di uccelli marini come la Berta minore, le cui colonie sono di interesse europeo e oggetto di specifici programmi di conservazione, nonché il marangone dal ciuffo.
Per la particolare tranquillità del luogo e la presenza di acqua, piccole e grandi specie migratrici trovano a Montecristo l’ambiente idoneo per riposarsi e nutrirsi, in modo da essere in grado, di riprende il loro volo verso nord o verso sud nelle stagioni di spostamento. 

Frequenti sono gli avvistamenti di balene ed altri cetacei, tanto che per le caratteristiche batimetriche, sembra che le acque di Montecristo siano frequentate dal raro zifio.